“Domenico Giannopolo è uno dei ribelli. Anzi degli «irriducibili», come li hanno definiti, tra il dispregiativo e il rassegnato. Uno di quei 100 sindaci, ma il dato è in divenire, che in Sicilia si stanno opponendo al processo di privatizzazione delle acque. In un modo semplice: non consegnando le chiavi degli acquedotti ai gestori privati. L'ultimo atto di ribellione lo scorso 23 ottobre. A Sant’Angelo Muxaro, in provincia di Agrigento. Il messo regionale ha trovato la porta del comune sbarrata da una decina di «irriducibili». Ed è tornato indietro. «Non so quanto potremo durare» spiega Giannopolo che amministra il comune palermitano di Caltavuturo. Perché l’acqua privata in Sicilia è un affare troppo grande perché qualcuno si metta di traverso. Un affare, che nei prossimi trenta anni, smuoverà circa sette miliardi di euro. Dei quali 5 da spartire attraverso appalti e due da realizzare attraverso la semplice gestione. Soldi che stuzzicano l'appetito di Cosa Nostra.
Nella Regione il processo di privatizzazione è iniziato nel 2005. Il primo Ato (che coincide con i confini di ogni provincia) a finire tra le mani dei privati è stato quello di Enna. Poi a seguire tutti gli altri con la sola eccezione di Ragusa dove il processo di privatizzazione stagna. «L'assegnazione – spiega Giannopolo - è avvenuta con una logica spartitoria. Ad ogni gara si è presentato un unico raggruppamento di imprese”. Un concorrente, un vincitore, un pezzo di torta. Nel
In metà della Sicilia, poi, quasi il 40% dell’acqua captata da Sicilacque – l’ex Ente Acquedotti Siciliani controllato dalla francese Vivendi - non arriva nei rubinetti di casa. In compenso le tariffe si sono impennate. Da qui la ribellione e il braccio di ferro con
Giuseppe Romana
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