Lo
scorso 4 maggio, in concomitanza con la festa del Crocifisso, si è tenuta
presso i locali del Museo Civico una conferenza sulla figura di Frate Umile da
Petralia Soprana, autore del Cristo in croce conservato nella chiesa del Convento
di Caltavuturo. Relatore dell’incontro è stato il sig. (i titoli professionali
bisogna averli conseguiti per vantarsene!) Felice Dell’Utri, autore a suo tempo
insieme a Rosolino La Mattina
di una monografia sul frate scultore, che per l’epoca (1987) poteva
rappresentare un buon repertorio di partenza per lo studio della scultura
francescana del Seicento, ma oggi essa è ampiamente superata dai nuovi studi
che si sono succeduti negli ultimi due decenni. Questo anacronismo degli studi
presentati è stato manifesto anche nella mostra fotografica allestita in
contemporanea in altri locali sempre del Museo Civico, dove sono state esposte
delle vecchie foto di opere, molte delle quali ormai restaurate, e soprattutto con
attribuzioni oggi non più accettabili per frate Umile, come il Crocifisso di
Castelbuono, quello di Termini e molte altre.
Vorrei
tralasciare, dunque, i contenuti poco interessanti dell’intervento, come pure
mi pare poco opportuno replicare alle considerazioni non troppo lusinghiere
espresse nei miei confronti (per dirla con Manzoni: «Ai posteri l’ardua
sentenza»!), e vorrei invece dire qualcosa sul Crocifisso di frate Umile
conservato a Caltavuturo, di cui si è fatto appena cenno durante l’incontro del
4 maggio.
Per
quanto attualmente ne sappiamo, la prima volta che l’opera caltavuturese viene
ricordata dalla storiografia è nel testo di fra’ Benedetto Passafiume, De Origine Ecclesiae Cephaleditanae...
(1645), dove a pagina 59, parlando del Convento di Santa Maria di Gesù fondato
dai francescani Osservanti Riformati nel 1625, a un certo punto si
legge che «in quella chiesa si venera la Santa Immagine del Signore
Crocifisso delineata da Frate Umile di Petralia».
Il
Crocifisso di Caltavuturo è ricordato poi da fra’ Pietro Tognoletto nella sua “Opera
Summa” sull’Ordine minorita Riformato in Sicilia (pubblicato postumo nel 1681),
che mette l’opera al secondo posto in un elenco di trentatre crocifissi tutti realizzati,
secondo lo storico palermitano, da Frate Umile. Appare ovvio che l’elenco
proposto dal Tognoletto non può minimamente essere preso in considerazione dal punto
di vista della cronologia delle opere, non era questo il suo intento, come pure
il numero di opere elencate appare evidentemente emblematico e non reale. Uno
scritto come quello del Tognoletto, che si può pienamente inserire nel genere
letterario delle agiografie controriformiste del Seicento, va correttamente
interpretato e non preso alla lettera, ma per far ciò ovviamente ci vogliono
competenze adeguate. Un documento o una fonte è inutile o addirittura
fuorviante se non si sa interpretare correttamente, ma noi storici dell’arte
abbiamo dalla nostra un’arma in più, infatti i nostri primi documenti sono le
opere stesse, che ci danno indicazioni al pari, o forse più, di una fonte
scritta. Inoltre penso che non ci sia nulla di più avvilente del vedere
trattare le opere d’arte, le sculture di frate Umile in questo caso, come pura
tecnica esecutiva, che è il livello di lettura più basso dentro l’infinito
mondo di linguaggi che l’opera d’arte racchiude in sé. Ciò che appare da questo
tipo di supponenza e che Frate Umile abbia fatto i suoi crocifissi con lo
stampino e quindi essi sono tutti uguali, l’importante è verificare le
rispondenze tecniche o, peggio ancora, iconografiche. Evidentemente le cose non
stanno così.
Cercando
allora di inserire il Crocifisso di Caltavuturo nel percorso artistico di Frate
Umile, rispetto a quanto sostenuto finora, io ritengo che esso non possa
trovare assolutamente posto fra le opere giovanili del Pintorno, essendo
totalmente distante dal naturalismo espressionista ad esempio del Crocifisso di
Petralia Soprana, come pure sembra molto difficile che la nostra opera possa
precedere il Crocifisso di Collesano, datato 1635, già più composto rispetto a
quello di Petralia ma ancora legato a quella prima fase realizzativa. Assai
vicini al nostro Crocifisso appaiono invece le opere Calabresi e il Crocifisso
di Polla, mentre per la
Sicilia il Crocifisso di Sant’Antonino a Palermo, opera
lasciata incompiuta dal Pintorno e poi completata dai suoi collaboratori. Tutte
queste opere, compresa quella di Caltavuturo, manifestano un mutato linguaggio
del frate scultore, legato adesso ad un classicismo pieno e maturo,
probabilmente acquisito durante il viaggio in terraferma (1636 – 1637), dove
ormai le ferite sempre evidenti ed abbondanti non disturbano più la pacata
serenità dell’immagine. Anche il panneggio del perizoma si fa più morbido e
sembra risentire di quanto nel frattempo andava realizzando l’altro grande
protagonista della scultura francescana della prima metà del Seicento, frate
Innocenzo da Petralia Sottana. La datazione più convincente per il Crocifisso
di Caltavuturo, tenendo conto anche dei tempi relativi alla costruzione del convento
e della chiesa annessa (cfr. Caltavuturo.
Atlante dei beni culturali, ed. L. Romana, Caltavuturo 2009, pp. 128-131),
mi sembra essere dunque tra la fine del 1637 e la prima metà del 1638, cioè
negli ultimi anni della vita di frate Umile, che muore il 9 febbraio del 1639.
Vorrei
concludere questo mio breve intervento ritornando sulla sera del 4 maggio. Non
tutto è stato negativo. Molto interessante è stato infatti l’intervento di
apertura della dottoressa Maria Grazia Muscarella sull’estetica, nel senso più
alto del termine, della rappresentazione del Cristo sofferente, con l’unica
pecca che è stato troppo breve: si poteva dare più spazio a questa tematica
senz’altro più stimolante del resto.
Giuseppe
Fazio
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